La Storia
L’ “asilo per l’infanzia” di Ivrea nasce da una sottoscrizione fra le famiglie eporediesi nel 1844 sotto lostimolo del Vescovo mons. Moreno che aveva già precedentemente fatto nascere una iniziativa analoga a Rivarolo e viene riconosciuta con decreto dal Re Carlo Alberto.. L’ abate don Ferrante Aporti, esule dalla Lombardia e senatore ai tempi di Cavour, lo aiuta e apporta le conoscenze pedagogiche da analoghe iniziative del cattolicesimo sociale a cui aveva dato il suo apporto in Lombardia.
Fin dal primo anno ben 170 sono i fanciulli (specie bimbe) che vi sono aiutati ed istruiti. La denominazione in “Opera Pia Moreno” viene assunta poco dopo e impegna nell’azione educativa e sociale le Suore dell’ordine di Maria Immacolata che Madre Antonia Verna aveva promosso.
L’edificio di via Siccardi 4, che costituisce il patrimonio dell’Ente, viene acquistato dal Vescovo mons. Moreno ed è successivamente allargato con molti locali. Dedicato all’educazione e sostegno dei fanciulli e ad altre attività scolastiche (in particolar modo per anni sede di una scuola magistrale che ha formato molte giovani canavesane all’ insegnamento) anche oggi viene dedicato dall’Opera la alla funzione originale decisa 168 anni fa.
L'Opera pia oggi
Oggi l’Opera Pia Moreno è un ente iscritto al registro regionale delle strutture riconosciute con diritto privato di ispirazione religiosa e la scuola materna è parificata a quella pubblica, ed è gestita da laici nominati dal Vescovo e dall’Assemblea dei Parroci di Ivrea benefattori dell’Opera Pia.
La struttura può ospitare ora oltre 80 fanciulli da 1 a 6 anni ed è sede per aule di molti allievi del Liceo Classico Botta che è adiacente.
Curiosità sull'edificio del Moreno
L’edificio dell’Opera Pia Moreno (donato a metà dell’800 dal Vescovo mons. Luigi Moreno per l’Opera che aveva fondato), ha un riconosciuto valore storico e alcune pregevoli valenze artistiche culturali. Essa era già nel 1200 residenza di una famiglia “nobiliare” eporediese: i Degli Stria
Si dice che prima del completamento del Castello voluto dai Savoia ad Ivrea (“il castello dalle rosse torri”) i Conti usassero dell’ospitalità degli Stria per incontri e permanenze.
In particolare quando il giovane conte dei Savoia Amedeo VII (il Conte Rosso) ritenne necessaria una pacificazione generale nel Canavese dopo anni di contrasti anche sanguinosi e crudeli per quella che è ricordata come “l’insurrezione dei Tuchini nel Canavese (1386-1391)”. La fine delle violenze dei nobili locali fra loro e con gli “homines”residenti era necessaria ai Savoia per consolidare la loro presenza Italia e organizzare il loro controllo territoriale.
Nella rigorosa ricostruzione del prof. Alessandro Barbero°° si ricorda, come il Conte Rosso lasciò alla contessa Bona (sua mamma) il compito di riunire i nobili e le comunità del Canavese il 2 maggio 1391 proprio alla Casa Stria per dettare i termini della preziosa “pace” leggendo un accordo di arbitrato di pace a lungo studiato anche con i potentati vicini del Monferrato e di Milano.
Quel giorno erano presenti 7 nobili dei Valperga, 31 dei S. Martino e Castellamonte, più i
rappresentanti di Cuorgné, Salassa, Canischio, Campo Colombano, Pratiglione, Pont, Val Soana, Frassineto, Sparone, Ribordone, Locana, Noasca, Ceresole, della valle di Castelnuovo, di Loranzé, Colleretto, Lessolo, Castellamonte, Baldissero, Bairo, Torre, S. Martino, Pranzalito, Perosa, Romano, Strambino, Vialfré; non si presentarono i procuratori di Prascorsano, Camagna, Pertusio, Rivarossa, Front, Barbania, Favria, Valperga
«licet omnes fuerint more solito proclamati», che prima di quel giorno si erano pacificate.
L’ accordo prende le mosse dal ritorno ai nobili locali dei castelli e territori occupati dai Tuchini, ricorda come Amedeo VII abbia ricevuto il giuramento di fedeltà e abbia proceduto
«contra nonnullos ex dictis rebellibus et tuchinis», contro alcuni dei quali «fuit administrata iusticia» mentre con altri «graciose compositum et transsactum ad certas pecunie quantitates». I Valperga e i S. Martino sono rimessi «in possessionem realem terrarum locorum et hominum suorum», e la contessa acconsente, dichiarando il suo desiderio che «dictos nobiles et eorum singulos cum dictis eorum hominibus et subdictis et econtra ad pacis, concordie et transactionis graciam ducantur» °°°: per cui si stabilisce espressamente che nessuno dovrà più essere chiamato in giudizio o altrimenti molestato per i fatti trascorsi.
Il ritorno dei nobili nelle loro signorie fu accompagnato da atti formali di riconciliazione. Il conte ha imposto ai nobili di riconciliarsi con i ribelli senza rappresaglie; per cui i rappresentanti delle valle supplicano i signori di perdonare «omnia delicta omniaque maleficia, ligas, cohadunatas, iura, tuchinagium», e ottengono il perdono e l’investitura delle terre.
La rivolta dei Tuchini era finita e la pace nel Canavese stabilita.